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San Michele

San Michele

Rappresenta il territorio di Brondolo, Ca Lino e Sant’Anna frazioni lungo la Romea dopo il fiume Brenta. Gravitava sul monastero di San Michele Arcangelo di Brondolo.
Ha come emblema la spada e la bilancia, simboli dell’Arcangelo Michele portatore di giustizia.
Il colore è l’ermellino.

Albo d’oro

1997

2015

2017

2019


La Contrada

La Contrada riprende il conio commemorativo del Piccolo Veneziano, soldo in uso nel 1300 a Chioggia. La moneta ha in un lato il simbolo del Palio, la Marciliana, nell’altro il leone di San Marco in moleca. Inoltre, per la natura del territorio, non potevano mancare le erbe officinali, la medicina del medioevo, con il cerusico. Oltre ad ospitare diversi mestieri antichi, la contrada si è “specializzata” nei giochi di abilità per i bambini, coinvolgendo spesso anche i genitori, con il tiro con la balestrina, schiaccio la noce, gara con le palle di pezza ecc.
Essere Contradaiolo vuol dire condividere lo spirito e le finalità della nostra associazione; rivivere insieme un momento della nostra storia per amare ancor di più la città. Gli spettacoli e le animazioni sono accuratamente preparate durante tutto l’anno, impegnando nelle prove decine di persone, intere famiglie, ispirandosi agli antichi statuti di Clugia, con testi originali o con testi scritti appositamente.


I Palii della Contrada San Michele

  • Palio 1993 – Gare assegnazione del Palio

    Il primo gruppo promotore partecipa al Palio de la Marciliana con le magliette rosse, simbolo di San Michele. Questa edizione non prevede ancora da parte delle contrade gli allestimenti scenografici di piazza, ma vengono disputate solo le gare per l’assegnazione del Palio: la regata delle scaule, la staffetta dei balestrieri e il tiro con la balestra manesca. La sommatoria dei punteggi assegnati nelle varie discipline, assegna ai nostri atleti il secondo piazzamento.

  • Palio 1994 – Il mercatino delle erbe

    Il primo progetto che San Michele presenta in piazza a Chioggia rappresenta il cuore stesso della vita di contrada, il mercatino medioevale con i banchetti delle erbe aromatiche. Questo ci identificherà d’ora in poi, assieme alle popolane allegre e chiacchierone, con una scenografia che pian piano cresce. L’animazione si svolge coinvolgendo i passanti e decantando loro le doti prodigiose di tutto ciò che è esposto in bella vista.Il primo progetto che San Michele presenta in piazza a Chioggia rappresenta il cuore stesso della vita di contrada, il mercatino medioevale con i banchetti delle erbe aromatiche. Questo ci identificherà d’ora in poi, assieme alle popolane allegre e chiacchierone, con una scenografia che pian piano cresce. L’animazione si svolge coinvolgendo i passanti e decantando loro le doti prodigiose di tutto ciò che è esposto in bella vista.

  • Palio 1995 – La stima della Dote

    La “Stima della Dote” (scene da un matrimonio del 1300). Una ricerca storica effettuata dalla nostra contrada sviluppa il progetto di quest’anno. La piazza di Chioggia, luogo di cerimonie civili e sociali, rivive la scena della stima della dote di madonna Lucia promessa sposa di messer Enrico, due giovani contradaioli. Lo stimatore della dote, pubblico ufficiale, legge il documento attestante tale dote, che diventa oggetto di lite e baruffa tra le due famiglie, richiedendo l’intervento del frate del monastero di Brondolo che riporta la pace e l’allegria nella contrada di San Michele Arcangelo. Le nostre Contrade hanno rappresentato la “Stima della Dote” alla fiera campionaria di Padova nel 1997, a Castel Fiorentino (AR), alle giornate medievali di San Marino nel 1998 e nel 1999 e alla Corte Benedettina di Correzzola nel 2002.

  • Palio 1996 – Entra lo Cerusico nella città di Clugia

    Entra lo Cerusico nella città di Clugia (tra incanti e sogni il carro delle maraviglie)Il progetto che si sviluppa in quest’anno rievoca una  figura classica nel mondo medioevale, quella del cerusico, medico alchimista  guaritore erborista… che preceduto dal popolo festante entra in città a portare i suoi rimedi portentosi, le sue pozioni magiche che guariscono tutti li mali “quelli de lo spirito et quelli de lo corpo”.

  • Palio 1998 – Populus in Arengo e Hospitale

    Storie di Santi, Mercanti, Pellegrini, Madonne e Cavalieri – Populus in Arengo – Nel “Popolo in piazza” viene ricostruito un “HOSPITALE” (in canne e legno) che rappresenta sia un luogo di ristoro e riposo per i viandanti ed i pellegrini, sia centro della vita popolana della contrada.   Attorno ad esso si sviluppano le scene di vita dei popolani, nella parte centrale c’è il fabbro che batte sul ferro davanti alla forgia, le donne lavorano a maglia, impastano il pane sulla gramola, pestano sui mortai le erbe dei campi, offrono ristoro ai passanti distribuendo pane di segale e vino, si recano al pozzo a prendere l’acqua; gli uomini tagliano la legna e preparano le canne, il cerusico vende le sue pozioni miracolose e declama le sue magiche virtù aiutato dal fedele aiutante, il mago incanta il popolo con i suoi giochi e fa gioire i bambini che giocano nella piazza, le madonne passeggiano corteggiate dai loro giovani amorosi…

  • Palio 1998 – La fiera di San Michele

    Anno Domini 1372, alla Fiera di San Michele – Le magnifiche contrade di San Michele invitano in quest’anno il visitatore ad “entrare” idealmente a rivivere una giornata del 1300.  L’hospitale diventa quindi il luogo di ristoro per … i pellegrini che giungono da cotante parti e che vi ritrovano il frate priore, lo cerusico, le donne intente a lavare i panni davanti al pozzo, i fabbri che battono il ferro e forgiano le spade, le popolane a chiacchierare e tanti altri personaggi.  La sera poi tutta la Contrada festeggia la fine del Palio, con un grande banchetto, accompagnato dai sonetti dei poeti e dei trovatori.

     
  • Palio 1999 – Vita e morte

    “Vita e morte” della bella Fulvia. L’animazione che le contrade di San Michele portano in piazza quest’anno è riferita alla bella Fulvia, contradaiola bella e spensierata che pensa solo all’amore e proprio per questo invisa alle altre donne che cominciano a sparlare di lei…

     
  • Palio 2000 – I Pellegrini…di San Michele

    Nel corso del periodo storico comunemente chiamato Medioevo, l’arte e la cultura raggiunsero vette altissime, spinte soprattutto dal fervore religioso che era diffuso in tutte le classi sociali. Uomini di fede, da tutte le parti d’Europa, si misero in cammino per raggiungere le mete sacre, cioè Roma, Gerusalemme, Santiago de Compostela, San Michele nel Gargano. Il viaggio e le strade divennero i protagonisti della vita quotidiana.  I romei – letteralmente “coloro che sono diretti a Roma erano i pellegrini incamminati verso la Città Eterna, provenienti da ogni luogo della cristianità medievale”.

  • Palio 2001 – La stima della dote

    Viene riproposta la “Stima della dote” alla Loggia dei Bandi. Le nozze di madonna Valentina con messer Simone.

  • Palio 2002 – “Orsola e Tebaldo”

    Magia di una storia: “Orsola e Tebaldo” – Una rievocazione storica si trasforma in magia nel momento incui i partecipanti si ritrovano ad essere e si sentono veramente personaggi di quell’avvenimento; ed ecco che Stefano diventa Tebaldo, Anna si trasforma in Orsola, Maria Rosa diventa in un attimo Bianca, la madre premurosa e la nostra storia prende vita, si srotola tra banchetti di erbe profumate, cesti di fiori e di frutta, boccali di vino e fasci di grano. Fra Sergione, benevolo, consola tutti, in special modo le giovin fanciulle mentre gli armati duellano in fondo alla via con le loro spade e le armature e la gente ci guarda ma noi non la vediamo, non siamo più in questo tempo, non siamo più noi, siamo la gente iocunda della contrada di San Michele Arcangiolo.

  • Palio 2003 – I mestieri

    Il progetto di quest’anno prevede di curare in modo particolare i mestieri che la contrada ha sviluppato nel corso delle varie edizioni, in particolare i banchetti delle erbe che ci hanno caratterizzato sin dalla prima edizione del Palio, i popolani che impastano il pane con la gramola, le lavandaie che lavano i panni de lo frate priore fra Pasquino, il fabbro, il cuoiaio, il falegname, la taverna gestita da madonna Nadia e messer Santino, le popolane che filano la lana ecc…

  • Palio 2004 – La peste a Chioggia

    La guerra che Clugia ha combattuto contro i genovesi, ha lasciato dietro di sé morte, distruzione e una popolazione stremata.  Ma le sofferenze per i clugensi non sono finite.  un altro nemico, altrettanto subdolo e distruttivo, minaccia la già precaria esistenza degli abitanti: la peste.Non si sa bene come sia arrivata, forse è stata portata dall’oriente, certo è che il morbo si è fatto strada in modo che si può definire ciclico, quasi come se il mondo fosse retto da leggi geometriche che hanno come risultato il caos.

  • Palio 2005 – La stima della dote versione “nobile”

    Viene riproposta la “Stima della Dote” in versione “nobile” in notturna sull’affascinante scenario di Piazza Vigo a ridosso del Ponte – Il matrimonio medioevale: i due promessi sposi sono: Monna Lucia, figlia del mercante di stoffe Messer Luigi De’ Polis e Madonna Rosa Nicoletti, ricchi ma non troppo….nobili, e Messer Enrico, figlio del Cancelliere Onorato Anselmi e Madonna Nuccia de’ Stefani, nobili ma non troppo….ricchi. A questo evento che vede coinvolti personaggi così noti, partecipa tutta la città.
    Nelle contrade fervono i preparativi per la grande festa: San Michele, contrada iucunda et soave, organizza canti e balli, le sarte di San Martino confezionano la dote della sposa, i fornai di San Giacomo preparano il pane per il banchetto, a Montalbano e Sant’Andrea stanno allestendo il pranzo nuziale.



Storia

L’ambiente lagunare a sud di Chioggia, caratterizzato da ampie lagune e acquitrini, boschi impenetrabili disseminati da stagni ed attraversati da fiumi o canali naturali, dune sabbiose, fu sede fin dai tempi più antichi di insediamenti monastici   benedettini.  Probabilmente già nel periodo delle guerre tra Bizantini  e Longobardi, grandi  quantità di persone si trasferirono dalla terraferma nelle lagune, costituendo il primo nucleo della futura storia di Venezia.  In questo modo, nell’antico porto romano di Brondolo, venne fondato un monastero dedicato a San Michele Arcangelo protettore del popolo Longobardo. Il primo documento che menziona il monastero di Brondolo è del 727, anno in cui Antonino da Padova venne rimosso dall’incarico di abate per divenire patriarca di Grado. Qualche anno più tardi, il monastero venne distrutto durante la guerra di Pipino, re dei Franchi, contro i Longobardi e probabilmente di nuovo saccheggiato dagli Ungari nei 900. Dopo tale data, la vita del monastero si svolse in maniera regolare e tranquilla per circa 500 anni, anche se negli ultimi 150 anni i benedettini vennero sostituiti dai monaci cistercensi.  Nel 1229, infatti il papa Gregorio IX° ne ordinò la  riforma, per far terminare l’eccessiva mondanizzazione dei suoi fondaci, e farlo ritornare alle sue origini.   Furono l’abate di Santa Giustina da Padova, G. da Montecroce ed Alberto da Monselice, priori della diocesi padovana ad essere incaricati dal Papa di provvedere alla riforma del monastero e costoro lo assegnarono ai cistercensi provenienti da Chiaravalle della Colomba (presso Piacenza). La nuova comunità sopravvisse per un altro secolo e mezzo, fino a quando nel 1379, il complesso religioso venne distrutto durante la guerra di Chioggia.  I monaci dispersi non vi fecero più ritorno, ma si ricostituirono comunità nel 1409 presso l’isola di Santo Spirito nella laguna tra il Lido e la Giudecca. Il monastero gestiva i propri beni in forma autonoma e viveva soprattutto con donazioni.  La più antica e forse più importante donazione di cui si abbia memoria é quella fatta al monastero da Sergio, duca di Senigallia ( nel 788) che ammontava a ben otto fondi agricoli.  Un’altra importante donazione venne fatta nel 954 da Almerico, marchese d’Este e da sua moglie Franca, che donò un ampio fondo agricolo presso Bagnoli di Sopra. Nel 988 Domenico di Rosara donò al monastero molti terreni siti a Codevigo, ai quali se ne aggiunsero altri fino a superare il ramo inferiore del fiume Brenta. Il costume delle donazioni continuò per vari secoli, durante i quali i beni del monastero accrebbero enormemente; l’utilizzo di questi fondi agricoli poi portava ulteriori ricchezze.







  • Arti e Mestieri

    Le lavandaie

    Il “lavare i panni” era uno dei lavori più ingrati per le donne nel Medioevo, sia in campagna che in città. La mancanza di acqua nelle case, il doverla procurare raccogliendo quella piovana, o attingendola dal pozzo che non tutte le famiglie possedevano, faceva aumentare la mole di lavoro da doversi sobbarcare. È vero che una volta non ci si cambiava d’abito così spesso, anzi, nessuno possedeva più di uno o due abiti che duravano anni e poi venivano riciclati facendoli usare, risistemati, ai bimbi. Fare le lavandaie era un vero e proprio rito, aveva regole e procedimenti ben precisi che le donne seguivano con molto scrupolo, ma era un momento socialmente importante: al di fuori delle case, esse si incontravano, raccoglievano notizie, si scambiavano esperienze, creavano legami e trovavano il modo per rendere il lavoro meno faticoso attraverso il canto e il ballo…improvvisato!
    Le lavandaie di San Michele: mettono al fuoco l’acqua in un capiente pentolone di rame e la portano ad ebollizione, aggiungono la cenere e la lasciano bollire per 8-10 minuti. Nel frattempo altre immergono nel mastello di legno i panni, le lenzuola e gli abiti da lavare. Altre due prendono successivamente un telo e tenendolo per i quattro lati, lo appoggiano sopra al mastello, mentre altre due versano l’acqua calda con la cenere. In questo modo si filtra il tutto, la cenere rimane nel telo mentre il liquido ottenuto diventa un ottimo detergente e sbiancante. A questo punto i panni vengono lasciati un po’ in ammollo, quindi si procede a spazzolare e sbattere su una tavola di legno con molta energia e.. buon olio di gomito, successivamente si strizza e si stende al sole. Le contradaiole, dopo aver tanto lavorato, anche se stanche, si dilettano con il loro ballo di gruppo: “non posso far bucato che non piova”.

  • Il pane

    Il pane veniva solitamente preparato in casa, ma cotto presso i forni pubblici. Preferito il tipo secco che si prestava di più ad essere conservato, dal momento che  le famiglie preparavano l’impasto solo due volte al mese, solitamente il giovedì. La pasta lievitata veniva suddivisa nelle varie forme e portata a cuocere dal “pistor” (il fornaio chioggiotto), possibilmente di sabato. Questo affinché la mensa della domenica fosse arricchita da qualche pezzo di pane con mollica ancor tenera. Solo nelle grandi occasioni il pane poteva essere bianco. Le contradaiole sono intente  a mescolare farina (fornita dai Procuratori alle biade del Comune, così come stabilito dagli Statuti al capitolo 225) e acqua fino ad ottenere con molta pazienza un buon impasto. Con l’aiuto della gramola, continuano a lavorarlo per ottenere un prodotto consistente. A questo punto, le donne avvolgono, come si trattasse di un bambino, la pasta in un panno umido, la depongono in un luogo possibilmente  caldo e buio e la lasciano lievitare. Successivamente sarà divisa nelle forme desiderate e…a tempo debito, queste  saranno portate a cucinare dal fornaio (pistor) della contrada di San Giacomo. Il fornaio avrà cura di riscaldare bene il forno, pena di risarcire il danneggiato a discrezione del Podestà (capitolo 34).  Una volta cucinato, il pane sarà portato alla taverna della

  • Il cestaio

    Il mestiere del cestaio, oggi praticamente scomparso, era un tempo assai diffuso. Sino all’avvento dell’industrializzazione, infatti, il giunco intrecciato veniva considerato la materia prima più duttile ed economica. La professione del cestaio è ricordata dai cognomi Cestèr e Cestàri. Pare che nella Chioggia medievale vi fossero aziende artigiane capaci di lavorarlo praticamente in serie. Questo materiale era utilizzato per la realizzazione di tutti i contenitori destinati all’uso domestico. Costavano infinitamente meno rispetto a quelli di legno.  Abili mani intrecciavano con gran rapidità i giunchi, detti “venchi” nel dialetto locale. Il termine “venco” deriva dal latino “vinculum”, che significa anche legaccio, intreccio, nodo. Solitamente, le fascine giungevano dalle campagne circostanti. Le portavano i contadini che si recavano in città per vendere le loro cose. Enormi carichi ne arrivavano anche attraverso i canali, da Loreo (Lauretum) e Cavarzere (Caput Aggeris). I cestai producevano contenitori di varia foggia sia per i lavori connessi al mare, che per quelli della campagna. Sino ad epoche assai recenti, il pesce veniva trasportato propri in ceste di vimini. Caratterizzate da una base ampia, erano munite di sponde piuttosto basse. I pesci, infatti, dovevano essere disposti senza troppe sovrapposizioni. Il pregio fondamentale di questi tipici contenitori era la permeabilità. Lasciavano scolare tutta l’acqua che, se trattenuta, avrebbe fatto marcire il pesce, mantenuto fresco grazie a continue spruzzate d’acqua di mare. I “cestari” chioggiotti, però, erano specializzati soprattutto nella produzione di vivai per pesci e crostacei. Si tratta d’un’attività sopravvissuta sino all’inizio degli anni Sessanta, documentata da fotografie e quadri d’autore. L’ultimo intrecciatore di “venchi” lavorava all’aperto, in calle Malanni, davanti al proprio magazzino. Realizzava soprattutto “vièri”, vivai per i granchi destinati a diventare “moleche”. La forma di questi vivai risultava elegantissima; la loro funzionalià non era affatto inferiore rispetto a quella degli attuali, antiestetici, “vièri” di plastica. Secondo il parere di molti esperti, i vecchi cestoni artigianali potrebbero essere vanta gioiosamente reintrodotti, a tutto beneficio del paesaggio lagunare. La produzione dei migliori “cestari” era vastissima. Spaziava dalle gerle ai contenitori per il trasporto del pane; dalle casse per muratori ai contenitori domestici che la gente comune utilizzava in luogo della mobilia. Secondo qualche esperto di Storia della Navigazione, questi artigiani avrebbero anche realizzato zatteroni e canoe simili a quelle costruite tutt’ora dagli indios del lago Titicaca. Queste barche ultra economiche, inadatte alla navigazione vera e propria sarebbero state utilizzate per spostamenti brevi, tra isole. L’ultimo costruttore di “vièri”, di cui Chioggia non serba quasi più memoria, sarebbe stato, dunque, l’erede d’una tradizione antica e gloriosa. Via via impoveritasi con l’avvento dei materiali moderni e col mutare del panorama economico.

  • Il fabbro

    Artigiano che costruiva tutto il necessario piegando il ferro rovente esclusivamente con l’incudine e il martello. Nella sua bottega, soffocante dal caldo sopratutto nel periodo estivo a causa dell’elevata temperatura provocata dai fuochi usati per il surriscaldamento del ferro, venivano costruiti, fra le altre cose, i ferri da cavallo. I semplici fuochi, alimentati dal soffio della “fola” (mantice), divennero in seguito dei forni.
    Il fabbro ferraiolo costruiva anche serrature, chiavistelli, chiavi e sopratutto spade.

Animazioni e particolarità

La stima della dote

La Contrada di San Michele durante i giorni del Palio della Marciliana anima la piazza recitando “La Stima della Dote”. La scena rappresenta gli usi nuziali tra due giovani popolani. A Chioggia le usanze matrimoniali affondavano le radici nei primi secoli del medioevo e venivano regolamentate dagli statuti cittadini Clugensi del 1272. Il matrimonio avveniva attraverso due fasi: in un primo momento, durante il giorno degli sponsali, i promessi sposi esternavano pubblicamente la volontà di contrarre il vincolo coniugale e si definiva l’ammontare della dote (repromissa) davanti lo “Stimador delle doti”. Si trattava di un incaricato dei pubblici uffici comunali ed il suo compito era quello di stimare le doti delle spose, delle mogli, delle vedove; inoltre era accompagnato da un notaio che elencava gli oggetti stimati. Il momento successivo era il giorno della celebrazione delle nozze, quando il cerimoniale si concludeva con la “trasductio” della sposa nella casa del marito. All’interno dei bauli lignei che in genere possedevano le doti, troviamo diversi elementi: capi di buona qualità ma non eccessivamente lussuosi, fra cui i più comuni, ad esempio la socca (veste a maniche strette), la cappa (ampio mantello), le camicie, il camisotto (sottoveste senza maniche), le calze di lana, qualche cintura, delle coperte di lana nonché oggetti di uso domestico. La conta della dote si intreccia tra proclami, ciacole delle popolane e baruffe tra famiglie ma si conclude in un clima di festa canti e balli. Lo scopo è di riproporre in piazza questa tradizione matrimoniale per far conoscere gli usi nuziali di un tempo, trasportando il pubblico in un’atmosfera medievale. 


Palio de La Marciliana
Casella Postale n.2
Corso del Popolo
30015, Chioggia (VE)
P.IVA 02606080279

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